“Tesoruccio”, “orsacchiotto”, “pulcino” e “piccola mia”: i nomignoli e i vezzeggiativi d’amore si sprecano tra gli innamorati. Eppure, quella che a qualcuno può sembrare una sdolcinatezza insulsa e inutile ha in realtà un suo perché e un suo valore bel preciso. Secondo gli psicologi, infatti, l’uso di questi nomignoli ricorda il linguaggio con cui i genitori, le mamme in particolare, si rivolgono ai bambini piccoli; nell’ambito della coppia, il ricorso a questi appellativi affettuosi e “bambineschi” è un preciso segno dell’amore e dell’impatto emozionale che si nutre nei confronti della persona amata.
Come spiega Jean Berko Gleason, professoressa emerita di psicologia dell’Università di Boston, negli Usa, “utilizziamo questo linguaggio perché, come nel caso dei bambini, amiamo la persona verso la quale indirizziamo il messaggio”. Nel cosiddetto amore erotico, ovvero nel sentimento che in età adulta proviamo nei confronti del nostro partner, le basi emozionali sono le stesse che legano i genitori ai loro bambini. Questo modo di parlare, spiega ancora la professoressa Gleason, in pratica è frutto dei nostri ricordi infantili del modo amorevole in cui ci parlavano papà e mamma, e ha una sua valenza importante anche in età adulta perché comunica intimità e affetto.
Tutto questo è frutto della chimica dell’amore, in particolare della dopamina, il neurotrasmettitore responsabile della particolare sensazione di benessere che proviamo quando siamo innamorati e sappiamo che il nostro partner ci corrisponde. Questa sostanza si attiva anche nei bambini piccoli in presenza delle coccole di mamma e papà, una situazione in cui il bimbo sperimenta la dolcezza di sentirsi sicuro e amato. Il fatto dunque di rivolgersi al compagno con appellativi in apparenza “bambineschi” ha le sue radici in questo meccanismo biochimico ed è il sicuro segnale di una buona intesa affettiva di coppia.